Eccoci qua come ai tempi della scuola dinanzi una pagina bianca e l'incertezza, l'amletico dubbio: COME INIZIARE? Sicuramente voglio dirti CIAO, che tu sia casualmente transitato di qua o già mio amico, qualunque sia il tuo pensiero, la certezza di questo saluto ce l'ho.
Di certezza ne ho anche un'altra, se sono qui, se ho deciso di "mettere in rete" parte di quello che scrivo è proprio per arrivare da te, per il desiderio di comunicare e condividere insito nell'essere umano, perché ho deciso di "tirare fuori dal cassetto i miei fogli" ed esporli alle tue critiche, al giudizio che se vuoi puoi lasciare sotto ogni mio post, per incontrare e conoscere amici.
In questo blog troverai alcune poesie, racconti brevissimi che durano il tempo di alcuni "morsi" ad un frutto, la sfida mia personale a Flaubert, una storia da "prendere un morso per volta": terza certezza... e dire che a me ne sarebbe bastata una! Ho cominciato; così adesso spero di rincontrarti al più presto.

Gabriella

sabato 31 ottobre 2009

Storia di un'ombra

PREMESSA
Questo è il primo racconto breve che ho scritto pensando al sogno di Flaubert, a me sembra una storia senza tempo perché collocabile in ogni tempo e in ogni spazio, ogni ambiente è il suo ambiente, ogni epoca è la sua epoca. Il linguaggio, volutamente elementare, serve a dare il senso di un tempo e di uno spazio indefiniti ed indefinibili, di fatti appartenenti ad una piccola fetta di tempo vissuto in un angolo qualsiasi di questo pianeta. E già manca qualcosa! Il roman sur rien doveva reggersi anche sulla bellezza delle frasi! Ma eccolo comunque:

La luce era apparsa più volte da quando aveva deciso di andare via da quel posto; il senso di colpa e di inadeguatezza per non essere capace di ubbidire alla madre e al padre cresceva ad ogni suo gesto e la costringeva quasi a tenere bassa la testa e schivare gli sguardi ma, quando non potevano vederla, di nascosto, li guardava. Per il fratello e la sorella era diverso, si soffermava a guardarli sempre di più, ad accarezzarli quasi con gli occhi e, a furia di osservarli, aveva imparato a conoscerli al punto da riuscire a distinguere i loro respiri quando, nel buio, riposavano. Erano quei respiri, a volte affannati, a farle conoscere la paura di non vederli più, così nel silenzio rimaneva a vegliare su loro e riposava poco. Ogni volta l'inizio del giorno la trovava più stanca ma con la luce poteva guardarli ancora rimanendo in silenzio. Li avrebbe ricordati sempre, li avrebbe immaginati riposare, muoversi o camminare.
Si soffermava, non vista, a guardare sua madre; l'amava ma odiava la sua rassegnazione, quella vita non era per lei, non sentiva di essere come tutte le altre, non voleva farsi usare, non voleva obbedire. Nessuno poteva immaginarlo, nessuno poteva conoscere il suo dolore, quel dolore che cresceva ogni volta che vedeva suo padre cedere, senza difendersi, quasi l'intero frutto del suo lavoro e tornare con poco.
L'aria, gli odori e i suoni di quel posto avrebbero fatto sempre parte di lei, ma immaginava che ci fossero posti diversi da quello che conosceva, con oggetti e cose mai viste, un posto dove non avrebbe dovuto solo obbedire... e lei ci sarebbe andata. Guidata dalla fortuna e dalla sua volontà, sarebbe riuscita a trovare quello che per lei era un posto incantato, un posto del quale sentiva il richiamo, pur non conoscendone l'esistenza.
Iniziava un nuovo giorno e lei, anche se stanca, non voleva mancare a nessuno dei gesti che facevano parte della loro vita e imparare per bene quella specie di rito che le avrebbe fatto compagnia e le sarebbe servito quando fosse tornata per portarli con sé, in quel posto senza padroni che voleva trovare. Ora ognuno si apprestava al proprio compito, ognuno al suo ruolo, e la madre accudiva ai loro bisogni e a quelli della dimora. Si accorgeva di essere sempre più simile a lei, e anche questo le faceva capire che era tempo di andare. Camminava da sola sentendosi quasi protetta dalla decisione che aveva preso quando quel ragazzo che l'aveva più volte guardata, la raggiunse alle spalle saltandole addosso. In un attimo fu a terra. Guardò intorno a se e non vide nessuno; sapeva che, anche se ci fossero stati, sarebbero andati via fingendo di non vedere perché nessuno poteva permettersi di ostacolare quei loro padroni. Rimase immobile. Lui la guardò, poi se ne andò ridendo: aveva solo voluto spaventarla e adesso si allontanava. Si alzò piena di rabbia ma un po' per volta la paura diminuiva, aveva visto altre ragazze piangere dopo averlo incontrato di certo non per essere state scaraventate per terra. Pensò subito a sua sorella, pensò che poteva accadere anche a lei; doveva trovare in fretta un posto in cui stare, un posto senza padroni e portarli con sé. Cominciò a pensare in modo diverso da come aveva fatto fino ad allora, non era più sola, i rischi e i pericoli della sua vita diventavano anche i rischi e i pericoli della sorella e del fratello. Loro non avevano i suoi stessi bisogni, ma presto avrebbero potuto adattarsi ad un posto diverso. Doveva far presto, stavano crescendo e forse sarebbe stato troppo tardi, doveva andare via prima di quando aveva deciso ma ogni volta che pensava di allontanarsi non appena fosse buio, trovava sempre un buon motivo per rimanere ancora un po': un rumore sospetto, il respiro insolito dei suoi fratelli o solo il bisogno di poterli vedere ancora. Alla fine del giorno rimaneva così nell'unico posto in cui si sentiva protetta. Capì d'avere paura anche di tutto ciò che non conosceva e cominciò ad ascoltare i suoni, i lamenti, gli odori che seguivano la fine di ogni giorno; conoscerli le sarebbe servito a non temerli. Rimase a lungo ad ascoltare, poi i suoi occhi si chiusero per la stanchezza; quando li riaprì cominciò a sentire i suoni che accompagnavano l'inizio del giorno, rimase ferma senza fare rumore per ascoltarne l'ordine. Sua madre riusciva a muoversi senza che nessuno di loro si accorgesse di niente e a provvedere ai primi bisogni; avrebbe dovuto imparare a fare a meno di chi si occupasse di questo e a ripetere quei gesti nel momento in cui ne avesse avuto bisogno, quando con lei ci sarebbero stati anche suo fratello e sua sorella.
Per lei sarebbe stato più facile andare via senza portare niente ma voleva con sé qualcosa che potesse ricordarglieli. Le venne in mente un piccolo oggetto che lei e i suoi fratelli avevano fatto, non si trattava di un utensile, non riproduceva nulla di ciò che avevano visto; aveva una forma che non avrebbe saputo dire, ma a lei sembrava di sentirci dentro le loro risate. Lo prese e lo nascose in un angolo sicuro dal quale avrebbe potuto facilmente prenderlo prima di andare via.
Guardava quel posto, ascoltava con molta attenzione ogni suono emesso dal fratello e dalla sorella e lo ripeteva perché rimanesse per sempre con lei. Quel giorno rimase ad osservarli più a lungo dove, insieme ad altri bambini, s'intrattenevano. Fu allora che vide un volto che non conosceva e che rattristava al solo guardarlo. Era come lei, ma più stanca e più affamata, si avvicinò e fece un gesto di saluto. Non capì niente di ciò che provò a dire; indicò un posto lontano e poi le fece vedere i segni delle percosse. Pianse per la sconosciuta. Pianse per lei e per i bambini. Forse era così e basta, forse ogni posto aveva il suo padrone, era lei che non voleva obbedire, se fosse andata via sarebbe stata come quella fanciulla, sola e affamata. Rimase impaurita, incapace di muoversi se non per obbedire ad un ordine o ad un bisogno. Arrivò il buio e i suoi occhi rimasero aperti, aspettava il momento migliore per allontanarsi; il suo viaggio sarebbe stato diverso da come lo aveva immaginato, adesso aveva paura che ogni posto fosse uguale a quello che stava lasciando. Uscì da quella dimora che non avrebbe più visto, prese il piccolo oggetto che aveva nascosto e si allontanò nel buio. Man mano che andava non udiva più il rumore dei suoi passi ma solo quello del suo respiro che diventava per lei sempre più fastidioso. Aveva cominciato a camminare piano, poi in fretta, era certa d'imbattersi in qualche pericolo, ne avrebbe presto incontrato uno e si sarebbe abbandonata ad esso senza cercare di difendersi. Il suo viaggio sarebbe presto finito, non avrebbe più sentito quel respiro pesante. La prima luce illuminava appena quello che la circondava quando lo vide. Fece un passo indietro per la paura, poi si avvicinò piano; quando fu molto vicina sentì qualcuno tirarla via. Le sembrò di vedere l'ombra di sua madre. Tornarono indietro in silenzio. Era felice che fosse arrivata ma non aveva il coraggio di girarsi a guardarla; quello che aveva fatto era grave e sarebbe stata punita. Nessuna punizione le faceva paura ora che sapeva che li avrebbe rivisti, avrebbe rivisto la sorella ed il fratello, ne avrebbe sentito ancora i respiri e avrebbe vegliato su loro. Entrò nella dimora dalla quale si era allontanata e trovò tutti dove li aveva lasciati, anche sua madre. Si girò a cercarla dietro di sé, l'ombra era sparita. Riprese il suo posto in silenzio.
Iniziò presto un altro giorno e sentì i suoni che aveva sempre sentito; sua madre si apprestava ai soliti compiti. La guardò. Per la prima volta non le sembrò piegata dalla stanchezza, per la prima volta i suoi capelli sembrava brillassero di piccoli fuochi, si guardarono negli occhi e lei le sorrise. Capì solo allora che sua madre sapeva, che aveva avuto i suoi stessi bisogni e forse ancora li aveva, che forse anche lei aveva conservato un insolito oggetto costruito con i fratelli, che era stata la voglia di vita che le aveva insegnato a strapparla nel buio e a guidarla.
La luce ed il buio arrivarono tante volte e tante volte vide la madre affannarsi prima che la sua ombra, nel buio, li guidasse lontano.

GM. C.

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